Come sta la Protezione Civile? Quali sono i rischi maggiori in Ticino?
Un colloquio con Ryan Pedevilla, Capo della sezione del militare e della protezione della popolazione ticinese di cui fa parte anche la Protezione Civile Ticinese, mette in luce gli aspetti caratterizzanti delle attività svolte al servizio dei cittadini. La collaborazione con gli enti di pronto intervento ne definisce il ruolo di supporto nelle emergenze che possono verificarsi in ogni ambito.
Signor Pedevilla, attualmente quali sono i rischi maggiori in Ticino, una nuova pandemia, l’emergenza climatica, i flussi migratori?
Se consideriamo i rischi in maniera singola direi che hanno un grado di complessità relativamente basso. Il vero pericolo è dato dall’unione di due o più eventi che si sovrappongono. Durante la recente pandemia una delle misure è stata quella di fermarci, di chiuderci e di non far circolare le persone. Questo ha contribuito a contenere efficacemente il problema. Ma se in quel momento fossero arrivati dei flussi migratori importanti, si sarebbe creata una situazione molto più complessa. Allo stesso modo, se penso alla canicola come unico elemento di rischio, ci sono delle misure relativamente semplici, come fornire assistenza agli anziani portando acqua al domicilio, verificandone contemporaneamente il loro stato di salute. Se uniamo invece canicola, flussi migratori e una pandemia ecco che potrebbero sorgere problemi importanti. Il dispositivo d’intervento in questo caso deve seguire delle priorità.
Ma non esistono soltanto i rischi legati a catastrofi naturali, ne esistono di varia natura come per esempio quelli relativi a un problema cyber. È una situazione che potrebbe toccare e bloccare la nostra società in quanto si è legati, forse troppo, all’informatizzazione, basti pensare al traffico pagamenti, oppure alla gestione delle più semplici pratiche amministrative sino alla visualizzazione delle schede dei pazienti, le quali sono ormai tutte in formato elettronico. Di stretta attualità è pure la penuria energetica. Ad essa è legata in maniera imprescindibile tutta la gestione delle comunicazioni. Senza rete informatica o senza energia ci ritroviamo catapultati indietro nel tempo. Per mitigare il rischio abbiamo approntato un dispositivo “BLACK RADIO”. È una rete autonoma che utilizza apparecchi Polycom grazie alla quale riusciamo a gestire gli interventi tra i vari partner della protezione della popolazione. Inoltre esiste un sistema della Confederazione che consente di comunicare tramite le classiche onde radio; questo sistema permetterebbe di informare la popolazione in maniera attiva, avvisandola sugli accadimenti. Ma è abbastanza inverosimile che salti tutto in maniera repentina e completamente incontrollata.
A proposito di pandemia, ora la popolazione vi conosce e vi apprezza di più.
Certo, si avverte un cambiamento. La pandemia è stata un banco di prova, a margine della tristezza e dei vissuti personali che ci sono stati. Nel 2016 abbiamo rivoluzionato completamente quelli che erano gli aspetti formativi della Protezione Civile, raddoppiando il tempo dedicato alla formazione dei quadri e prodigandoci per migliorare un equipaggiamento ormai datato. Le tendine che abbiamo posto davanti agli ospedali non esistevano prima del 2016. Sin dal mio arrivo mi sono accorto del potenziale inespresso anche a causa dei limiti dettati dalle apparecchiature, oppure per la difficoltà da parte della nuova generazione di utilizzare materiale vetusto. Questo ha dato gli stimoli per trovare soluzioni pragmatiche, finanziariamente accessibili e di trovare il giusto compromesso intergenerazionale. Si sta anche introducendo un sistema rivoluzionario in grado di attivare i militi in tempi molto più rapidi.
Con l’attività prolungata durante la pandemia e in occasione della vaccinazione di massa, abbiamo messo in gioco veramente tantissimi ragazzi e ragazze del nostro Paese. Anche il fatto di seguire il flusso migratorio dei profughi ucraini ha sicuramente contribuito a rafforzare la nostra immagine. Ora c’è la consapevolezza che esiste una riserva strategica in Ticino su cui si può contare, la Protezione Civile, pronta e determinata a dare una mano concreta al Cantone. Forse prima l’immagine era principalmente legata ad altri contesti, come la pulizia dei sentieri o gli interventi di ripristino del territorio.
Serbo un bel ricordo della ricerca di personale per la vaccinazione, un sistema in cui è prevalsa la milizia così come il puro spirito di solidarietà da parte di aiuto infermiere/i e di persone legate al sistema sanitario che hanno in qualche modo conciliato le loro attività al fine di venire a vaccinare. Grazie all’Accademia di Medicina d’Urgenza Ticinese, è stato possibile formarli online e far fare loro un po’ di pratica, perché fare un’iniezione intramuscolare sembrerebbe non essere così complesso. Sono stati fantastici nel recepire e mettere in pratica le indicazioni fornite dall’Ufficio del Medico Cantonale e del Farmacista Cantonale. È stato fondamentale aver avuto a disposizione una piattaforma che permettesse di creare le basi per poter formare queste persone, e poi convocarle per la formazione pratica. Dopo aver ottenuto l’attestato, potevamo attivare quasi un migliaio di persone. Di questo spirito solidale c’era una totale lacuna, o forse una mancanza di consapevolezza, colmata nel momento della massima emergenza. Questo è stato possibile grazie alla capillare rete di contatti che si è creata, alla ferma volontà della popolazione di reagire e dalla tecnologia disponibile.
I servizi ambulanza negli ultimi 15/20 anni hanno puntato molto sulla formazione dei propri capi intervento con percorsi mirati insieme a polizia, pompieri e protezione civile. Qual è il suo punto di vista sui risultati raggiunti?
La formazione è la base della conoscenza. Il fatto di potersi esercitare insieme ai propri partner, coloro che stanno sul terreno quando succede un evento, avere dei mezzi, imparare a parlare la stessa lingua, nonostante abbiano tutti dei percorsi formativi differenti, è un indubbio vantaggio. Personalmente posso affermare di aver fatto dei passi da gigante nella gestione delle crisi, indipendentemente dalla durata e dalla dimensione. Credo che la collaborazione durante la pandemia sia stata eccezionale, nella misura in cui si è capito quali risorse potevano essere supportate o riprese dalla Protezione Civile. Ad esempio, la sanificazione delle ambulanze poteva essere effettuata dai militi della Protezione Civile, facendo risparmiare preziose risorse ai team di soccorso.
Qual è l’attuale stato di salute della Protezione Civile?
Le potrei dire che oggi stiamo bene, ma dal 2026 ci sarà una modifica legale che ridurrà di circa il 40% il numero di effettivi astretti all’assoggettamento alla Protezione Civile. In parole povere significa che un milite non sarà più integrato fino a 40 anni, ma dopo 14 anni di servizio verrà prosciolto. Questo è un elemento che un po’ spaventa, perché ci sarà qualche problema nell’assicurare le prestazioni richieste durante l’arco dell’anno. La mancanza di queste persone si farà sentire. Attualmente ne stiamo discutendo. Il problema non è di natura economica, perché a fronte di emergenze i soldi si trovano, ma le persone che gestiscono l’emergenza meno. Servono persone formate e strutturate in tempi non sospetti in modo che possano essere subito operative in caso di emergenza.
Ha svolto una formazione negli Stati Uniti: l’Engineer Captain’s Career Course a Fort Leonard Wood (Missouri).
È stato un training di 9 mesi relativo alla formazione del genio con le truppe statunitensi. Fra le varie attività abbiamo svolto una serie di valutazioni sulle “operazioni di stabilizzazione”: come ricostruire un ponte, una strada, una scuola o una pista di atterraggio. Si tratta di competenze che un ufficiale del genio dell’esercito svizzero non acquisisce perché non ci sono i presupposti per pensare che sia l’esercito a dover ricostruire infrastrutture simili. Per loro invece è un compito reale, qualcosa di concreto che può verificarsi in differenti scenari. È stata un’esperienza illuminante. Chiaramente i mezzi a disposizione dell’esercito americano sono differenti dai nostri, ma posso affermare che ammirano la nostra flessibilità e capacità di pensare fuori dagli schemi. Loro hanno il top di gamma in tutti gli scenari possibili. Per esempio hanno truppe che si esercitano nell’Artico per imparare a creare un passaggio su un lago ghiacciato, dopo aver valutato il peso specifico del materiale. Hanno sviluppato una serie di tecniche per effettuare uno sminamento umanitario o da combattimento, creando rapidamente una breccia al fine di garantire il passaggio della truppa. Hanno delle competenze tecniche che avevo solo immaginato nei film, tutti coloro che erano con me avevano svolto almeno due o tre missioni all’estero, la maggior parte tra Iraq e Afghanistan.
A questa prima parte di formazione se ne è affiancata una seconda di “on the job training”, un allenamento sul terreno per truppe in procinto di partire in un impiego. Ero in Texas, a Fort Hood, con una temperatura che durante la notte era di 30-35 gradi e durante il giorno superava spesso i 45. È stata un’esperienza sicuramente significativa, passare diverse settimane in un impiego con queste condizioni di grande caldo e con un sergente maggiore che ogni ora ti ordinava di bere il tuo bicchiere d’acqua – significava bere 8-10 litri di acqua al giorno - e poi controllava se l’avevi fatto. Condizioni climatiche così estreme io non le avevo mai provate.
Già, il grande caldo, anche da noi potrebbe verificarsi uno scenario abbastanza verosimile.
Di recente abbiamo fatto una visita a Meteo Suisse. Si prevede che se la tendenza non cambia, l’estate del 2022 sarà considerata un’estate fresca in rapporto a quello che potrebbe verificarsi nel 2050. La domanda spesso è “in quanto tempo il nostro comportamento deve modificarsi?”, perché se non riusciamo a farlo rapidamente potrebbero sorgere altre problematiche. Prendiamo ad esempio la zanzare tigre, sembra un fastidio di poco conto, ma se non la tratti adeguatamente l’anno successivo può diventare un problema serio. Si tratta di insetti che fungono da vettore per malattie infettive i cui agenti patogeni possono annidarsi per esempio in zanzare e zecche e portare problematiche sanitarie.
Per esempio la dengue o la Zika nel Sud America si può trasmettere tramite un insetto che punge una persona e la infetta. Alle nostre latitudini sembrerebbe non essere mai successo. Ma se penso all’importante presenza di questi insetti nel Bellinzonese durante la scorsa estate, e dovesse verificarsi una trasmissione di Malattie, credo che la pandemia andrebbe rapidamente in secondo piano.
Qual è il problema più grande che il Ticino dovrà affrontare in futuro?
I flussi migratori saranno una costante cronica, e non solo a causa della guerra. Siamo la porta sud della Svizzera e spesso anche dell’Europa per le persone che vogliono dirigersi a nord. Questa costante, unita a potenziali problemi supplementari che si sovrapporranno, potrebbe destabilizzare il nostro paese, soprattutto se i processi di integrazione non saranno quelli auspicati. Questo significa che dobbiamo impegnarci per integrare queste persone quanto prima, poiché le differenze culturali potrebbero creare problemi all’interno della nostra società. Questo è il rischio più importante, perché la solidarietà potrebbe venir meno, e ciò potrebbe minare il concetto di sicurezza e appartenenza a una società. Forse non si tratta di un rischio facilmente misurabile come l’esondazione di un lago o uno scoscendimento che blocca una strada, ma può verificarsi quando si perde la sicurezza e la consapevolezza di far parte di una realtà più grande.
È sminuente quando si sente dire che la Protezione Civile è un servizio di seconda emergenza?
Ma è la realtà! Si tratta di un elemento di secondo scaglione, un elemento sussidiario in cui i militi non sono professionisti e devono essere attivati togliendoli dalle loro attività quotidiane.... Anche l’Esercito è un elemento di secondo scaglione, anche se in mano alla Confederazione. Non sarebbe corretto partire dal presupposto che ogni qualvolta vi sia un evento repentino la Protezione Civile sia immediatamente sul posto. La Polizia è responsabile della costituzione e gestione dello SMEPI (Stato Maggiore degli Enti di Primo Intervento) e questo è un elemento chiave. Dal rapporto di costituzione vengono prese delle misure d’urgenza e una di queste misure può essere quella di attivare la Protezione Civile al fine di alleggerire il compito degli enti di pronto intervento e per creare delle condizioni quadro migliori nella gestione di un evento. Penso al grande incendio nel Gambarogno dello scorso anno, durante il quale abbiamo trasportato diverso materiale e personale sul luogo dell’incendio. Penso alla raccolta delle persone che sono state evacuate. Sono tutte attività che possono essere delegate alla Protezione Civile. Se dall’altra parte hai un partner affidabile a cui assegnare un compito, significa che ne hai uno in meno tu da gestire. Questo permette a polizia, pompieri e servizi ambulanza di concentrarsi sulle loro rispettive mansioni specialistiche. Diciamo che noi siamo piuttosto dei “generalisti”.
Le sue scelte professionali sono state dettate da una vocazione?
Ci sono dei valori che vengono trasmessi e ti restano. Nel mio caso questi valori erano già presenti quando ho svolto il servizio militare, pur avendo iniziato senza nessuna volontà di carriera o ambizioni particolari. Sono stato reclutato abbastanza casualmente nelle truppe del genio. Quindi da economista sono diventato un esperto nella costruzione di ponti. Ho così scoperto un mondo particolare, che mi permetteva di fare qualcosa di molto concreto, di poter lavorare in un gruppo, di costruire qualcosa che poteva servire a fini militari, specifici per la difesa nazionale ma anche a supporto della popolazione. Si aggiungono i tanti altri impieghi svolti a fronte di importanti catastrofi naturali, ciò mi ha avvicinato molto a questo mondo. Inoltre l’esperienza che ho maturato come quadro e come ufficiale mi ha permesso di avere questo bagaglio personale e, non da ultimo, di saper lavorare sotto sforzo. Oggi pensare di dover lavorare due notti senza dormire non mi preoccupa, so di avere dell’energia di riserva che posso utilizzare. La possibilità di poter avere dei contatti, di prendere decisioni, con difficili implicazioni è qualcosa che non mi ha mai spaventato. La consapevolezza di essere in grado di compiere degli sforzi importanti l’ho avuta per la prima volta quando abbiamo fatto la cento chilometri di marcia nell’Esercito: quando arrivi in fondo percepisci questo senso di euforia e appagamento, è una sensazione molto particolare.
Cosa significa saper lavorare in gruppo?
Lavorare in gruppo richiede sensibilità per via delle differenze di ogni persona. Implica la capacità di mettere il bene comune in primo piano e di saper raggiungere gli obiettivi prefissati. Ciò può causare disagio a livello personale poiché potrebbe essere necessario lavorare nonostante le opposizioni di chi ha idee diverse, ma è importante portare a termine il compito entro i tempi e con le risorse previste massimizzando le potenzialità del gruppo. Non si tratta di convivenza o gestione sociale e solidale del gruppo, ma di raggiungere un obiettivo che sta al centro di tutto. Quando propongo delle varianti, devo mettere i miei superiori nella condizione di prendere decisioni su scenari realistici e attuabili con le risorse disponibili. Questo è un elemento fondamentale per garantire la fiducia all’interno di un gruppo o di un gremio in cui non sono necessariamente il capo.
Che cosa le fa paura?
Temo di essere inerme di fronte agli eventi e di non avere strumenti efficaci per affrontarli. È il peggior scenario quando si lavora per la protezione della popolazione. La pandemia è un esempio in cui è stato necessario agire rapidamente e con determinazione per proteggere i cittadini. Questo può essere stressante ed è stato un momento in cui più di una persona è vacillata.
Cosa la fa ridere, come si rilassa?
Mi piace trascorrere del tempo con i miei veri amici, guardare film divertenti o rilassarmi nella natura, in particolare fra i monti che tanto amo. Adoro inoltre ammirare il sorriso degli altri.
Un suo difetto e un suo pregio.
Un mio difetto è che sono un permaloso, dispongo di un buono spirito di autocritica, ma non sempre tutto mi scorre addosso come magari dovrebbe. Un pregio è la determinazione con cui svolgo il mio lavoro, anche se a volte poi può andare a discapito del tempo passato in famiglia. Essere parte di un dispositivo di protezione significa accettare che ci sono momenti in cui si deve lavorare anche nei fine settimana e nelle ore notturne per esercitazioni o emergenze, ma credo che la maggior parte di coloro che leggono queste righe si ritrovano nella medesima situazione.
C’è qualcosa a cui non si è mai abituato?
Non mi sono mai abituato alla mancanza di volontà di alcuni colleghi d’oltralpe di accettare il Ticino come parte della Svizzera. Questo atteggiamento mi ha sempre infastidito e mi ha spinto a dimostrare che, a volte, possiamo essere migliori di loro.
Nessuno le ha mai chiesto di togliere l’orecchino?
... solo durante la mia formazione negli Stati Uniti.
NOTA BIOGRAFICA
Classe 1977, Ryan Pedevilla ha studiato economia aziendale alla SUPSI di Manno e ha poi frequentato il corso di Ufficiale professionista dell’Esercito all’Accademia militare del Politecnico di Zurigo. Negli Stati Uniti ha preso parte all’Engineer Captain’s Career Course a Fort Leonard Wood (Missouri). Ha maturato una consolidata esperienza nella condotta militare e nella formazione dei quadri, collaborando per dieci anni al Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport.
Dal 2017 è Capo sezione del militare e della protezione della popolazione, con il compito di pianificare, progettare e coordinare l’attività nei vari ambiti di competenza (affari militari, protezione civile, protezione della popolazione e servizi amministrativi).
Nell’Esercito svizzero ricopre il grado di colonnello di Stato maggiore generale ed è attualmente capo della cellula di aiuto alla condotta della divisione territoriale 3.
Vive con Letizia e i loro 3 figli.