Ivan, da Soccorritore volontario a Soccorritore professionista
Ivan Bettoni lavora in Croce Verde Bellinzona come Soccorritore professionista dal 2008. Con un passato come assistente di cura in sala operatoria, ha trovato nel soccorso preospedaliero una passione per l’imprevedibilità e la dinamicità del lavoro sul campo. La lettura, il balletto classico e il suo cane sono per lui valvole di sfogo indispensabili.
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Ivan, ci descrivi il tuo percorso professionale?
Ho 55 anni e lavoro in Croce Verde Bellinzona dal 2008. In precedenza, ho prestato servizio per circa dieci anni alla Clinica Sant’Anna di Sorengo come assistente di cura in sala operatoria. Nel 1997 ho iniziato come Soccorritore volontario presso la Croce Verde Lugano, e nel 2000 sono stato assunto alla Centrale di allarme 144. Successivamente, ho frequentato la scuola per Soccorritore professionista, diplomandomi nel 2003. Per un periodo ho anche lavorato al Servizio Autoambulanza del Mendrisiotto, suddividendo il mio tempo tra il ruolo di Soccorritore professionista al 50% e l’attività presso la Centrale di allarme per l’altro 50%.
Il tuo ingresso nel mondo del soccorso è stato come volontario. Cosa ti ha spinto a intraprendere questa strada?
È qualcosa che ho sempre voluto fare. A un certo punto ho deciso di provarci, e così è iniziato tutto. All’epoca avevo la scelta di diventare tecnico di sala operatoria, quindi strumentista, ma mi sono detto: “Provo a fare il volontario in ambulanza, vediamo com’è”. Mi è piaciuto e così ho continuato.
Quali motivazioni ti hanno portato a scegliere il soccorso preospedaliero rispetto al lavoro in sala operatoria, e cosa ti ha affascinato maggiormente di questa scelta?
Il soccorso preospedaliero è un contesto diverso e sicuramente più dinamico. La sala operatoria, per quanto un tempo mi piacesse, era sempre al chiuso, all’interno di un ambiente controllato. Il soccorso in ambulanza, invece, mi ha affascinato per la sua imprevedibilità: ogni giorno è diverso e non sai mai cosa aspettarti. In sala operatoria tutto è molto pianificato e strutturato.
Come cambia l’approccio alle emergenze tra la Centrale 144 rispetto a un intervento diretto sul campo con l’ambulanza, quali sono le principali differenze tra questi due contesti?
Con il nuovo sistema attualmente in vigore alla Centrale 144, ci sono domande molto precise da porre all’utente e, in base alle risposte, si attivano gli allarmi appropriati. Anche se l’intonazione della voce suggerisse qualcosa di diverso, il sistema americano adottato oggi impone di seguire i protocolli in base alle risposte ricevute. Quando ho iniziato, non esisteva un sistema così strutturato; si andava più a sensazione e sulla base dell’esperienza. I protocolli erano più flessibili, si interagiva di più con chi chiamava, chiedendo subito l’indirizzo e verificando se si trattava di un trauma o di un problema medico, se il paziente era cosciente e se respirava. L’intonazione della voce e l’esperienza del soccorritore erano cruciali. Oggi tutto è molto più protocollato e standardizzato. Anche il carico di lavoro è aumentato: una volta di notte eravamo soli a rispondere, mentre adesso c’è sempre almeno un’altra persona. In passato, le chiamate erano chiaramente meno frequenti e la raccolta di informazioni era più rapida, permettendo di rispondere velocemente a un’altra emergenza.
Ricordi qualche esperienza particolare al 144?
Ho dei bellissimi ricordi di quel periodo. È stato un lavoro incredibile, in un ambiente molto positivo. È difficile ricordare una telefonata specifica che mi sia rimasta impressa. Anche allora, spesso ci trovavamo a guidare le persone al telefono nelle manovre rianimatorie.
E con l’ambulanza? Ricordi qualche intervento particolare?
Sì, ci sono tanti interventi che mi sono rimasti impressi, ma molti sono troppo delicati per essere raccontati. I familiari delle persone coinvolte potrebbero riconoscersi e non gradire.
Gli interventi che ti danno particolare soddisfazione.
Sono quegli interventi in cui arrivi sul luogo, fai il tuo lavoro e alla fine ti senti soddisfatto, dicendo a te stesso: “Abbiamo fatto un buon lavoro”. Potrebbe trattarsi di un ictus, un infarto, o anche solo di una persona anziana che ha bisogno di essere portata in ospedale. La maggior parte degli interventi si conclude con un esito positivo, e questo dà già una grande soddisfazione. Naturalmente ci sono anche casi in cui, purtroppo, non possiamo fare molto. In queste situazioni difficili, poi ci ritroviamo a discutere tra noi.
Questi momenti di confronto avvengono durante le sessioni di debriefing? Come vengono gestiti e strutturati questi momenti?
Esatto, i debriefing sono fondamentali per noi. Da un lato, c’è la discussione tecnica, che è sempre utile per migliorare le nostre procedure. Dall’altro lato, c’è l’aspetto psicologico, che è altrettanto importante. È vero che un soccorritore deve sempre essere sicuro e avere sotto controllo la situazione, senza mostrare troppo le proprie emozioni. Ma in realtà, ognuno di noi ha un punto debole, un aspetto che lo tocca più di altri. Per me, è particolarmente difficile quando un giovane esce di casa per divertirsi e poi non torna più, a causa di un evento tragico. So che in questi casi ho bisogno di aiuto. Questo è un mio punto debole, l’ho capito presto nella mia carriera di soccorritore. Sono grato alla Croce Verde Bellinzona per il supporto che ci offre, perché senza questo aiuto non potrei continuare a fare questo lavoro.
Cosa ti piace fare nel tuo tempo libero per rilassarti e ricaricare le energie?
Passeggio con il mio cane, che è una valvola di sfogo importante per me, mi aiuta tantissimo. Amo i cani, questo è il mio terzo. Inoltre, sono un lettore accanito. Leggere mi trasporta in mille mondi diversi e mi fa vivere molte avventure. Sì, leggo molto, soprattutto romanzi fantasy e, alternativamente, libri di Stephen King, ma non solo.
In che modo la tua passione per la lettura ha influenzato e arricchito il tuo lavoro come soccorritore
La lettura mi arricchisce molto. Chi legge, scrive e parla meglio.
…E pensa meglio…
Credo che molte persone dovrebbero leggere di più. I libri non servono solo a fare arredamento! Per me, la lettura è un modo di evadere, oltre che un passatempo. In vacanza, mi annoio a stare fermo sotto il sole, così prendo un libro, a volte anche uno al giorno, e passo il mio tempo in questo modo.
So che sei appassionato di balletto classico, è vero?
Esatto, vado almeno una volta all’anno alla Scala di Milano a vedere una rappresentazione di balletto classico. Deve essere un repertorio tradizionale; la danza moderna mi piace meno. A dicembre andrò a vedere “Lo Schiaccianoci” di Cajkovskij, che ho già visto due anni fa. L’ultima volta mia nipote non stava bene e non ha potuto apprezzarlo, così la porterò di nuovo.
Come è nata questa passione?
L’ho scoperta guardandola in televisione, ma mi ha sempre attratto. Penso che sia una delle espressioni artistiche più belle.
C’è una grande completezza: racconto, movimento, musica, teatro... È davvero qualcosa di meraviglioso.
Torniamo al mondo del soccorso, a quali cambiamenti hai assistino nel corso nella tua carriera?
Certamente è cambiato molto. Per esempio, quando ho iniziato come volontario, l’asse spinale era una novità. Oggi, però, lo si sta gradualmente abbandonando a favore di strumenti come la barella a pala e il materassino a depressione (vacuum). Questi cambiamenti seguono cicli, ma il principio rimane quello, in caso di trauma, di mantenere la schiena del paziente dritta e protetta. Anche la composizione delle équipes di soccorso è cambiata: anni fa, si usciva in ambulanza con un professionista e due volontari; oggi, ci sono due professionisti e, quando possibile, un volontario. In futuro, potremmo vedere equipaggi composti da un soccorritore professionista e un infermiere specialista, per migliorare ulteriormente la qualità del soccorso. Ci sono anche discussioni sul fatto che, in futuro, la formazione per diventare soccorritore potrebbe essere integrata nel percorso degli studi infermieristici, trasformandosi in una specializzazione. Mentre a livello di Centrale di allarme 144, si sta considerando la presenza fissa di un medico che possa visualizzare in tempo reale le condizioni del paziente tramite video.
Hai fatto tante rianimazioni nel corso della tua carriera?
Sì, ne ho fatte molte. Tuttavia, devo ammettere che spesso non siamo stati fortunati; purtroppo, in molti casi, non c’era più niente da fare.
Il lavoro della Fondazione Ticino Cuore e la diffusione dei defibrillatori hanno avuto un impatto sul territorio?
Assolutamente sì. Le probabilità di sopravvivenza sono aumentate significativamente. Grazie alla diffusione capillare dei defibrillatori, che sono passati di 15 nel 2005 a oltre 1600 di oggi, e al fatto che almeno un terzo della popolazione ticinese sa eseguire una rianimazione cardiopolmonare, spesso quando arriviamo sul posto troviamo già qualcuno che sta praticando la rianimazione. Questi “First Responder” possono essere passanti, parenti, agenti di polizia o altri partner del soccorso. A livello cantonale, i tassi di sopravvivenza hanno mostrato un netto miglioramento rispetto a un decennio fa.
Come vedi la Croce Verde Bellinzona in questo momento?
Ogni luogo di lavoro può sempre migliorare, ma ciò che apprezzo della Croce Verde Bellinzona è l’ambiente familiare che ancora si respira. È un aspetto che rende il lavoro piacevole e che mi ha fatto restare per così tanti anni. Tuttavia, non so se potrà continuare così. Non è solo il progresso a determinare i cambiamenti, ma anche le nuove tecnologie e l’aumento del carico di lavoro. Un tempo, c’era più tempo per ricaricarsi tra un intervento e l’altro, in particolare nei fine settimana. Se il carico di lavoro continua a crescere, sarà necessario aggiungere un altro equipaggio. È inevitabile che, con l’aumento delle operazioni, si perda un po’ di quel contatto familiare che riusciamo ancora a mantenere. Se in futuro la Croce Verde diventasse parte di un ente cantonale unico, è probabile che l’ambiente diventi meno familiare. Ma non mi dispiacerebbe affatto poter lavorare a rotazione in diverse località come Lugano, Mendrisio o Locarno. La conoscenza del territorio è un aspetto importante per un soccorritore. Ricordo che, all’inizio della mia carriera, spesso prendevo l’auto e andavo a esplorare le zone meno conosciute.
Ritieni che questa professione possa essere una scelta valida e gratificante per un giovane? E quali consigli daresti a chi sta pensando di intraprendere una carriera nel soccorso?
Pur essendo un lavoro molto bello, non è per tutti. Se si sceglie di fare solo la scuola per soccorritori, si rimane soccorritori per tutta la vita. Un tempo, avevamo accesso a formazioni ulteriori presso la SUPSI, io stesso ho completato una formazione supplementare, ma quell’opzione non è più disponibile. Oggi ci sono due percorsi: diventare soccorritore e poi fare un corso “passerella” per diventare infermiere, oppure iniziare come infermiere e poi seguire un corso per diventare soccorritore. Quindi sì, mi sentirei di consigliare questa professione a un giovane, ma suggerirei di puntare su una formazione più completa per avere maggiori opportunità future. Bisogna essere consapevoli che questa professione è molto logorante e, con l’età, diventa sempre più difficile poterla svolgere. La schiena, le spalle e le ginocchia, prima o poi, risentiranno degli anni di lavoro. Purtroppo, molti di noi dovranno affrontare problemi di salute prima di raggiungere l’età pensionabile.
Qual è il tuo ricordo della pandemia?
Il ricordo della pandemia è per me davvero terribile, e credo che molte persone l’abbiano dimenticata troppo in fretta. Ricordo bene i momenti in cui la gente ci applaudiva, esprimendo il loro sostegno: “Bravi, bravi”. La prima ondata è stata particolarmente scioccante, e la seconda è sembrata interminabile. La mancanza di informazioni e la preparazione inadeguata ci hanno messo a dura prova. Era una situazione surreale: arrivavamo in casa delle persone, misuravamo la saturazione dell’ossigeno, e in alcuni casi portavamo i pazienti in ambulanza addirittura che camminavano, con l’ossigeno ad alto flusso. Dopo, li trasferivamo a Locarno, al centro predisposto. La prima volta che sono entrato all’ospedale di Locarno e ho visto la sala dedicata ai pazienti COVID sono rimasto impressionato: una distesa di letti con pazienti intubati, sdraiati a pancia in giù. In quel periodo sembrava che tutte le altre patologie, come ictus, infarti, traumi e problemi psichiatrici, fossero scomparse, probabilmente a causa della paura di recarsi in ospedale. Ora sembra che la pandemia sia un ricordo lontano, anche se in fondo è passato pochissimo tempo. Forse il suo impatto è stato oscurato da altri eventi drammatici come le guerre o i cambiamenti climatici.
Io stesso ho contratto il virus durante la prima ondata e sono stato molto male. Non sono stato ricoverato, ma ho trascorso 18 giorni con tosse persistente, raffreddore, febbre altissima, dolori alle articolazioni e grande difficoltà a muovermi.
Parliamo della morte... Sei credente? Cosa pensi che ci sia dopo?
Non ci si abitua mai alla morte, anche se, nella nostra professione, la incontriamo abbastanza spesso. È la fine di un percorso e, anche se sappiamo che è inevitabile, speriamo sempre di arrivarci in buone condizioni. La speranza di molti è di andare a letto e non svegliarsi più, evitando sofferenze. Sì, credo che ci sia qualcosa dopo, ma non il classico paradiso con fiorellini e angioletti che spesso immaginiamo. Penso che ci sia qualcosa che non conosciamo, forse una forma di reincarnazione come nelle teorie formulate dai buddisti.
Cosa ti fa paura?
Ho paura dei ragni e dei serpenti. Se dovessi arrivare in un’abitazione durante un intervento e ci fosse una tarantola, credo che non riuscirei ad entrare. Una volta sono entrato in una casa con un terrario rotto, dove un serpente era scappato. Ho dovuto assistere all’intervento da una posizione di sicurezza, ma fortunatamente i miei colleghi se ne sono occupati. Se capitasse di trovarsi di fronte in una situazione simile con un altro collega che ha paura, potrebbe essere complicato.
Cosa ti rilassa?
Passeggiare con il cane mi rilassa moltissimo e vorrei che la sede della Croce Verde Bellinzona fosse “PET friendly”, con cani e gatti ammessi, ma capisco che potrebbe essere difficile da realizzare. Sarebbe comunque una bella innovazione se potesse essere considerata fin dall’inizio nella progettazione della nuova sede.
Un tuo pregio e un tuo difetto
Un mio difetto è che mi arrabbio facilmente e tendo a non trattenere le mie opinioni. Quando mi scateno, di solito credo di avere ragione e divento molto impetuoso. Un mio pregio è che sono un gran lavoratore; quando c’è da fare, rispondo sempre presente e impegnato.
Foto sopra: Teatro alla Scala di Milano, il 13 maggio 2022 poco prima della rappresentazione del balletto Sylvia, con la collega e amica Marijke, anche lei Soccorritrice professionista.